
L’esplorazione del Foro
Durante il Medioevo, quando il Foro Romano aveva già perso la sua funzione politica, è continuato un processo di decadimento in cui gli edifici e i monumenti sono stati sepolti in successione, a meno che essi non avessero trasformato la loro funzione, soprattutto nella conversione di templi in chiese come è avvenuto con il Tempio di Saturno e Faustina. Questo processo continuò nel Rinascimento quando i grandi progetti di costruzione e di infrastrutture dei Papi vennero introdotti, specialmente durante i pontificati di Giulio II (1503- 1513) e Leone X (1513-1521), portando le rovine del Foro Romano ad essere utilizzate come cava, in particolare per la costruzione di San Pietro. Questo ha privato gli edifici in particolare dei loro elementi architettonici in marmo e dei rivestimenti, in modo tale che essi, un tempo così splendenti, ci appaiono oggi con il solo nucleo di fondazione.
Ciò non significa che nel Rinascimento non ci fosse interesse per le antiche vestigia. Con un’aspirazione vicina a quella scientifica si presenta il primo umanista “Poggio Bracciolini” che si occupò della localizzazione topografica del Foro Romano, basandosi principalmente sulle fonti scritte, perché in quell’epoca non se ne aveva ancora conoscenza. Anche se il materiale da costruzione del Foro Romano poteva essere recuperato con il permesso dei Papi, si dovevano conservare dei reperti, ornamenti o iscrizioni che anche a quel tempo avevano valore e interesse umanistico. Reperti speciali come i Trionfi e i Fasti Consolari (i cosiddetti Fasti capitolini) si sono così salvati dalle calcare.
Il trattamento caratteristico di allora per le antichità del luogo, ormai identificato come Foro Romano, sono gli eventi che seguono: la creazione di una nuova strada trionfale (Via Triumphalis) nel 1536 sotto papa Paolo III (1534-1549) per l’ingresso dell’imperatore Carlo V dovette essere collegata insieme con gli archi onorari di Costantino, Tito e Settimio Severo per essere di nuovo utili nella loro funzione originaria. Per questo fu permesso di riparare alcune delle antiche facciate, d’altra parte vennero rimossi tutti i ruderi che si trovavano sulla strada del Foro.
Nel Foro Romano, alla fine del XVI secolo, c’erano solo rovine isolate. L’area era utilizzata dai contadini per far abbeverare il loro bestiame, da questa usanza la località ha ricevuto il nome di “Campo Vaccino” (pascolo di mucche). In parte, tra le rovine conservate sono state edificate delle case. Le incisioni e i panorami dei secoli successivi mostrano un paesaggio idilliaco di rovine: ancora una volta sono messe a confronto l’uso rurale dell’area con la sublimità delle rovine antiche.
Alla fine del XVIII secolo hanno avuto luogo i primi scavi del Foro Romano nella Basilica Iulia. Con l’inizio del XIX il Foro subisce il primo grande sviluppo archeologico. Soprattutto Carlo Fea (1801 Commissario delle Antichità del Papa) ha coordinato gli scavi nel Foro con l’obiettivo – anche se non raggiunto – di esporre l’intero Campo Vaccino e portandolo di nuovo al suo antico splendore. A tal fine, egli ordinò che le case costruite nelle rovine venissero abbattute. Per quello che riguarda i resti ancora visibili del tempio di Faustina e Settimio Severo e l’Arco di Settimio Severo vengono realizzati degli scavi in profondità. Ormai liberati i tempi di Saturno e Vespasiano e la facciata del Tabularium, Fea inscenò con efficacia le rovine. Antonio Nibby ha continuato ulteriormente questi scavi profondi (1829-1834). Le numerose scoperte di questo periodo permisero di rilevare e localizzare, dal punto di vista topografico, il Foro Romano in modo permanente dalle rovine isolate. In questo periodo furono datate in senso stretto le prime sensate riviste scientifiche per i ritrovamenti del Foro Romano soprattutto da Carlo Fea, Christian Bunsen e Luigi Canina.
Con il completamento di questi scavi, il Foro Romano si presentava come un insieme unico, di monumenti sparsi. I successivi scavi estesi su larga scala del Foro Romano, sono iniziati nel 1870, e lo vedono infine riunirsi in un solo luogo. L’obiettivo era quello di riconquistare il Foro dei tempi dell’impero, il che significava che tutto quello datato a epoche posteriori veniva eliminato senza pietà (o meglio quello che si credeva tardo antico fu distrutto come per esempio nel 1872-1874 i Rostra Diocletiani). In rapida successione, 1870-1885 Pietro Rosa, Giuseppe Fiorelli e Rodolfo Lanciani hanno reso libera la zona del Foro, il tempio di Cesare e la Via Sacra tra il tempio di Faustina e la Basilica di Massenzio. Giacomo Boni, che fu attivo dal 1898, ha condotto questi scavi con i quali ha reso libera la zona intorno la Basilica Paulli. Con i suoi scavi si recò per la prima volta in profondità, alla ricerca di tracce del primo periodo di Roma. La sua più famosa scoperta, in questo senso, fu il ritrovamento di un gruppo di tombe arcaiche ad est del tempio di Faustina, il cosiddetto Sepulcretum, e il Lapis Niger nel Comizio. In breve tempo l’intero Foro Romano è stato quindi riportato al suo antico livello – ma il grande ritmo di scavi ha avuto la mancanza di revisione scientifica e di conseguenza anche la mancata pubblicazione.
Nel XX secolo, il periodo di scavo su larga scala era terminato. L’interesse era indirizzato verso il restauro e la ricostruzione di edifici scoperti, in cui non è stata sempre realizzata alcuna differenza tra gli originali e le riedificazioni, contrariamente alla prassi attuale. Così, nel 1920 e ’30 Alfonso Bartoli ha la possibilità di ricostruire parzialmente la Basilica Paulli e il Tempio di Vesta e anche la Curia, trasformata in Chiesa (e quindi protetto dal disfacimento) viene “liberata” da tutti gli elementi post-classici per farla riapparire come un’antica costruzione. La ricerca archeologica nel Foro Romano non è stata in nessun caso completata: si svolsero sempre nuovi scavi più piccoli e di restauro, rilievi architettonici. Degni di nota sono alcuni scavi che si svolsero presso il Tempio di Saturno nel 1980, così come i rilievi architettonici della Basilica Paulli e la Basilica Iulia organizzati dall’Istituto Archeologico Germanico, o l’elaborazione e la pubblicazione degli scavi nell’area della Regia e Spazio Vestae attraverso l’American Academy di Roma.
La lunga durata e lo studio del Foro Romano durante i secoli porterà, nonostante il suo scavo completo, alla scarsa chiarezza per quel che concerne i risultati ottenuti. Come si presentava il ritrovamento nel momento in cui è stato scoperto? Quale parte corrisponde ai reperti originali, e quale al restauro post-antico? Queste sono tutte domande che vanno fatte nella discussione per gli edifici sul Foro Romano e la loro ricostruzione, la quale è notoriamente ha una complessa risposta a causa della lunga e contorta storia della ricerca.
(EH)